Architettura e natura sono diventate un business. Quanto paghereste per essere immersi in un paesaggio? Per passeggiare su un ponte che si getta nel vuoto? Oppure arrampicarvi su una torre di legno e arrivare fino a 45 metri dal suolo per osservare la foresta dall’alto? E se il percorso fosse trasparente, adagiato sulle rocce, e portasse gli occhi e corpo verso l’infinità del mare?
Sono sempre di più – e sempre più mozzafiato – le strutture firmate che nascono per accompagnarci nel paesaggio. E sempre di più sono persone che decidono dove andare in vacanza seguendo il binomio architettura e natura. Cioè la possibilità di godere di viste meravigliose (magari con uno sforzo fisico minimo). In Italia, dice il rapporto “Gli italiani, il Turismo Sostenibile e l’Ecoturismo 2018”, della Fondazione UniVerde, con IPR Marketing è il 61%.
Ma la grande diffusione di opere architettoniche naturalistiche non è solo un’operazione di marketing territoriale.
Si tratta, al contrario, di un’opportunità per riavvicinare le persone all’ambiente e capirlo in modo più intimo.
EFFEKT, Camp Adventure, photo Rasmus Hjortshoj
«L’architettura riesce, se ben progettata, a stimolare interazioni più significative tra uomo e natura», dice Jonas Stahl. Il suo studio, Arc Designs, ha recentemente realizzato l’impressionante Skywalk nella Upper Rock Nature Reserve di Gibilterra. «Gli interventi più riusciti possono far riconoscere e apprezzare l’ambiente naturale. Invitandoli ad ammirarne la bellezza e rafforzando l’importanza della convivenza tra l’ambiente costruito e l’ambiente naturale, sottolineando il suo ruolo chiave per il nostro benessere».
Talvolta gli edifici lo fanno in modo assolutamente didascalico. Come al Museu da Naturaleza nel parco nazionale della Serra da Capivara in Brasile. Progettato da Elizabete de Fátima Buco Paulino, e inaugurato nel 2018, la struttura è illuminata al centro da un’apertura zenitale. La sua forma, a spirale, è un riferimento all’eternità del tempo e alla ciclicità dei fenomeni.(oltre che al percorso espositivo interno, dedicato al cambiamento climatico). Ma è anche un segno “morbido” molto lontano da tanta architettura contemporanea fatta di geometrie rigorose. L’edificio appare come una presenza lenta, una citazione ancestrale e filosofica che ricorda un po’ i giardini di Charles Jencks.
Che la natura ci faccia bene si sa da molto tempo. Era infatti il 1984 quando il biologo di Harvard Edward O. Wilson ha definito la biofilia. Cioè l’«innata tendenza a concentrare l’attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che le ricorda e, in alcune circostanze, ad affiliarvisi emotivamente».
Lo Skywalk di Arc Designs a Gibilterra, foto Stephen Ball, courtesy of Bovis-Koala JV
Ma se allora si tratta di un’ipotesi, in tempi più recenti il concetto è stato anche provato – dal 2002 in poi – da verifiche sperimentali. Secondo Wilson, più c’è affiliazione con la natura, più la nostra vita acquista immediatamente qualità. E la ragione è che il paesaggio, oltre a fornirci cibo, aria ed acqua, ha anche un impatto importante sul nostro benessere psicologico ed emotivo.
È quindi a causa della biofilia che rimaniamo a bocca aperta davanti alle viste mozzafiato o sospirare su una spiaggia mentre guardiamo cielo e mare che si uniscono. E che pensiamo che una casa affacciata sul verde valga molto di più di un’altra.
Cosa c’entra tutto questo con l’architettura? Molto. Perché dall’”ipotesi biofilia” è nato nel 2008 il design biofilico. codificato da Stephen R. Kellert, professore di ecologia sociale alla Scuola di Foresteria e Studi Ambientali dell’Università di Yale. Si tratta di una progettazione che si sviluppa intorno a geometrie ispirate agli organismi naturali. Quindi complesse, interconnesse, sviluppate in modo organico ma anche visivamente gerarchico come accade in natura. Luoghi con un cuore pulsante, dove è possibile raggrupparsi e conversare o pensare. Ambienti che, pur essendo chiusi, creano – grazie alla luce, alla forma degli spazi, agli angoli del tetto – un’esperienza del tutto simile a quella outdoor. Un biomimetismo applicato agli ambienti, insomma, e focalizzato – secondo gli scritti di Kellert – a facilitare la relazione tra uomo e natura ma anche tra gli esseri umani.
Non sono trovate New Age. Le prove che l’approccio biofilico all’architettura funzioni e abbia un impatto reale sul benessere dell’uomo sono infatti state raccolte da diversi studi indipendenti realizzati in diversi paesi. E in Italia – visto che non basta qualche tocco di verde per poter parlare realmente di design biofilico – esiste addirittura il sistema di verifica Biophilic Quality Index, sviluppato dai ricercatori Rita Berto e Giuseppe Barbiero (dell’Università della Val d’Aosta e di Torino) per aiutare gli architetti a combattere il “nature deficit design disorder” nella progettazione.
I principi del design biofilico si ritrovano per esempio nella stazione di birdwatching di Rau Architects (Tij Observatory) per la Scheelhoek Nature Reserve di Stellendam, in Olanda.
Rau Architects (Tij Observatory) per la Scheelhoek Nature Reserve di Stellendam, in Olanda. Foto Katja Effting
Un edificio che è green non solo nella forma – pensata per mimetizzarlo nell’ambiente circostante e che riprende quella di un uovo di uccello. Riutilizzabile e trasportabile oltre che, a fine vita, riciclabile il padiglione permette al pubblico di avvicinarsi agli uccelli senza disturbarli in alcun modo (l’accesso avviene attraverso un tunnel). La luce penetra attraverso la struttura in modo generoso, il pavimento è fatto di pietre.
La sensazione che si prova è di essere sul fiume, circondati di fronte, immersi nel paesaggio. Il padiglione è stato inoltre costruito usando un sistema di trasferimento dei dati progettuali direttamente dal software di modellazione 3D alla macchina per il taglio laser. E la realizzazione delle singole parti assemblabili in situ (che significa niente trasporto e facile smontaggio). «La vera sfida di questo genere di progetti», dice Robin Hurts, dello studio Rau, «non è tanto come entrare in relazione con la natura quanto come integrarsi al suo interno. Che non vuol dire necessariamente realizzare edifici dal look “naturale” – anche se in questo caso è stato così – ma trovare soluzioni sostenibili ispirandosi alle strategie che la natura ci suggerisce».
«Prima di iniziare a lavorare su un progetto, portiamo avanti un esame molto approfondito del luogo che lo accoglierà. Che significa il contesto naturale ma anche la sua storia e la personalità delle persone che lo visiteranno». dice Patrick Lüth, Managing Director di Snøhetta Studio Innsbruck, autore dell’osservatorio sospeso Perpective Panorama. «Non parliamo di design biofilico in modo specifico, chiamiamo questo processo – che è multi-disciplinare e votato alla sostenibilità del progetto – “concettualismo contestuale”. Ma, di fatto, integra i principi del design biofilico». L’adesione a queste tematiche è, secondo Lüth, una conditio sine qua non per occuparsi di architettura oggi. «La professione ha acquisito nuova importanza negli ultimi dieci anni e nuove responsabilità anche agli occhi del pubblico. Ormai siamo tutti coscienti dell’impatto che ogni mossa ha sull’ambiente e i professionisti devono progettare il paesaggio utilizzando la natura per rendere le aree abitate più resilienti».
Foto di copertina: Il “Perspektivenweg”, progettato da Snøhetta per il Nordkettenbahn cable railway, Innsbruck
Developed with love by re-create.it
Lascia un commento